20. Federico II riceve dal filosofo Michele Scoto la traduzione delle opere di Aristotele

Giacomo Conti, 1861
Federico II riceve dal filosofo Michele Scoto la traduzione delle opere di Aristotele
olio su tela entro cornice lignea dorata
(cm 182×257; tela: cm 136×211)
Palermo, Palazzo Reale

Nel 1220 il filosofo, scienziato e astrologo Michele Scoto (1190 – 1235-43 circa) giunge a Bologna ed entra a far parte della corte di Federico II. A lui si deve la traduzione dall’arabo dei tre libri di Aristotele (384-322 a.C. circa) che contribuirono alla diffusione in Europa del pensiero del filosofo greco.
Il dipinto qui esposto idealizza il momento della consegna dei manoscritti all’Imperatore, alla presenza della famiglia e di una folta corte, che il pittore immagina composta da uomini di Chiesa, giuristi e poeti, come Cielo d’Alcamo, Pier delle Vigne, Guido delle Colonne e Giacomo da Lentini. Ne veniva fuori un ambiente multiculturale, caratterizzato anche da personaggi in vesti “arabe”.
L’architettura della sala riecheggia un’atmosfera esotica che richiama la diffusa architettura mediterranea medievale di influenza islamica, con archi moreschi e colonne incassate, secondo lo schema presente nella “Sala della Fontana” della Zisa di Palermo.
La pittura celebrava la magnificenza e il multiculturalismo della corte di Federico II, che difese l’impero combattendo la politica papale, alludendo così forse all’unificazione del Regno d’Italia a cui mancava ancora lo Stato della Chiesa, annesso solamente nel 1870.

Focus – Il mito “arabo normanno” a Palermo nel secondo Ottocento

Dopo il 1860, quasi del tutto completata l’unificazione italiana, il mito del Regno di Sicilia indipendente in funzione antiborbonica è assorbito dal desiderio dei siciliani di mostrare alle diverse componenti regionali della penisola l’importanza della cultura arabo-normanna.
Inoltre, il gusto medievalista che guarda all’architettura del passato normanno, svevo e aragonese è strumentalizzato dalle due principali componenti della società.
La borghesia forte economicamente se ne appropria per costruire una storia sociale che non ha, l’aristocrazia feudale ritiene che sia il migliore linguaggio per simboleggiare l’antichità delle famiglie in opposizione ai nuovi ricchi.
In quest’ultimo ambito si colloca Andrea Onufrio che lavora agli arredi del palazzo Forcella passato ai principi Licata di Baucina e compone costosi mobili medievalisti in osso.
Sono pezzi unici fatti a mano come la cassetta acquistata da Joshua Whitaker (cat. 23) che abita a Palermo in una palazzina in stile gotico-veneziano, mentre il fratello Robert vive in una splendida villa con una casina neogotica.
Tra i primi esempi di edifici di revival a Palermo è il palazzo Galletti dei principi di San Cataldo (1864-66) con una raffinata facciata a pietra d’intaglio dell’architetto Tommaso Di Chiara.
Esemplare della creazione di un mondo artificiale che guarda nostalgicamente ad un passato glorioso è la villa-castello di Luigi Alliata di Pietratagliata, principe del Sacro Romano Impero (come volle essere riconosciuto nei primi anni del Novecento), creata dall’architetto Francesco Paolo Palazzotto a partire dal 1883 circa.
Nel 1882 a Palermo erano stati celebrati i seicento anni dal Vespro siciliano.
Inizia così una sequenza di restauri degli antichi manieri medievali e molti caseggiati vengono trasformati in castelli, come avviene in tutta Italia dopo l’Esposizione Nazionale di Torino del 1884 che intende recuperare le forme del passato medievale italiano.
Egualmente si procede al recupero di moltissime chiese “arabo-normanne” ad opera dell’architetto Giuseppe Patricolo e del suo allievo Francesco Valenti.
Così è del tutto naturale che l’Esposizione Nazionale organizzata a Palermo nel 1891 mostri un’architettura “arabo-normanna” ad opera dell’architetto Ernesto Basile.

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2022-03-06T17:59:09+01:00
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